Ascoli Piceno: cosa fare e vedere nel centro storico in un giorno

La chiamano “la città del travertino”: Ascoli Piceno, capoluogo della provincia più a sud delle Marche, deve proprio al travertino l’aspetto così armonico del suo centro storico, materiale con il quale sono stati costruiti quasi tutti i suoi edifici e che caratterizza da oltre 2.000 anni la fisionomia della città.

Il centro storico di Ascoli Piceno, di impronta medievale, strizza l’occhio anche all’epoca picena e romana. Infatti, se da una parte divenne “la culla dei Piceni” intorno al IX secolo a.C., passò sotto il dominio dell’Impero Romano nell’89 a.C.. Una dominazione che portò alla città notevole splendore e ricchezza, grazie soprattutto alla sua posizione, lungo il corso della via consolare Salaria. Un po’ come successe a Carsulae, il fatto di essere situata lungo una delle vie commerciali principali dell’epoca ha permesso ad Ascoli di fiorire dal punto di vista economico, architettonico e culturale. Inoltre, come nel caso di Venezia, è divisa in sei sestieri, ciascuno con un proprio stemma e colori.

Una città fortemente legata al suo patrono, Sant’Emidio, primo vescovo di Ascoli e protettore dei terremoti. A lui sono dedicati diversi edifici religiosi e il 5 agosto viene festeggiato come si conviene ad un personaggio soggetto a tanta devozione.

Ascoli è anche la città dei dettagli. Passeggiando, fate caso agli angoli dei palazzi: spesso li troverete smussati, accorgimento preso per agevolare il passaggio delle carrozze nei vicoli più stretti. O ancora, nelle case di origine medievale noterete delle piccole porte: dette “porte del morto”, venivano utilizzate per far uscire la bara del defunto. Secondo un’antica superstizione, infatti, si credeva che vivi e morti non dovessero condividere lo stesso ingresso poiché questo avrebbe portato molta sfortuna. Per questo si sfruttava questa porta stretta e lunga che poi veniva murata o chiusa per evitare che la morte potesse tornare “a fare una visita”. Infine, sulla parete laterale della chiesa di San Cristoforo, si trova la “fontana dei cani”, realizzata in travertino. Se non avesse dei leoni al posto dei cani non ci sarebbe nulla di strano! L’acqua è potabile e sgorga dalle bocche dei leoni.

E se vi dicessimo che Ascoli è anche una città parlante? Fate attenzione agli architravi in travertino degli edifici del centro storico. Noterete che spesso vi sono incisi proverbi o frasi. Ce ne sono circa un centinaio in tutta la città. Il più famoso? Quello in Rua Lunga, 19, risalente al 1529, che recita “Chi po non vo, chi vo non po, chi sa non fa, chi fa non sa et così il mundo mal va.” (“Chi può non vuole, chi vuole non può, chi fa non sa, chi sa non fa e così il mondo male va”).

Ascoli Piceno è anche una terra di leggende e storie molto curiose che vi racconteremo man mano che vi porteremo con noi nel suo centro storico, alla scoperta delle cose da fare e da vedere più interessanti della città.

Piazza del Popolo e i suoi gioielli

Con tutta probabilità, si tratta della piazza più fotografata delle Marche. Definita “il Salotto d’Italia”, passeggiare lungo il suo loggiato ti catapulta in un’epoca passata dall’eleganza innata. Il cuore della città, Piazza del Popolo è un vero gioiello architettonico dove, prima del 1500, gli scalpellini tagliavano i blocchi di travertino per costruire la chiesa di san Francesco che qui si affaccia.

Abbiamo detto che è un luogo – come si suol oggi definire – molto instagrammabile. Tuttavia, noi non abbiamo alcuno scatto da farvi vedere perché durante la nostra visita, in piazza si svolgeva il mercatino dell’antiquariato. Solita fortuna, no? Per questo motivo ci affideremo ad una foto presa da Instagram.

Affacciati su Piazza del Popolo, tre luoghi simbolo della città:

  • la Chiesa di San Francesco, che sembra quasi incorniciare la piazza, fu costruita in quasi tre secoli. Considerata la chiesa francescana più importante delle Marche, ha uno stile che va dal romanico al gotico e conserva un crocifisso ligneo miracoloso. Pare, infatti, che abbia perso sangue durante il suo trasferimento da Palazzo dei Capitani, colpito da un incendio nel 1535. Alla destra dell’ingresso, si trova il Chiostro Maggiore di San Francesco, con il suo portico del ‘300 composto da 20 arcate. Un paio di curiosità sulla chiesa: sulla facciata (in via del Trivio), a fianco della porta, si trovano delle colonnine a forma di canna d’organo: bussandoci con le nocche delle mani, le colonne producono suoni differenti, quasi steste suonando un organo. Pare che in passato, gli Ascolani vi passassero sopra, uscendo da messa, con le loro chiavi (ben più lunghe di quelle odierne), causando le scanalature oggi visibili. Delle vere e proprie colonne musicali! La seconda curiosità riguarda un dettaglio che si trova verso una delle due torri campanarie. Aguzzando bene gli occhi, si può notare una scultura dalla forma fallica vicino al tetto. Per i non maliziosi si tratterebbe di un betilo, pietra sacra che, essendo sulla cima della chiesa, starebbe ad indicare la dimora di Dio. Per i meno ingenui, sarebbe proprio un fallo, lì posizionato da uno dei muratori in segno di ripicca poiché non soddisfatto del pagamento per il lavoro eseguito.
  • Palazzo dei Capitani del Popolo, oggi sede dell’Assessorato alla Cultura del comune, ospita mostre temporanee. Vittima di incendio doloso la notte di Natale del 1535, fu principalmente sede dei vari governatorati e Capitani del Popolo.
  • Lo storico Caffè Meletti, adiacente al Palazzo dei Capitani, è uno dei simboli della città. Prima di essere acquistato da Silvio Meletti nel 1905, fu sede del Picchetto della Dogana prima e delle Poste e Telegrafi poi. Con i suoi interni in stile liberty molto ben conservati, è un viaggio nel passato: vi siederete su divanetti in velluto verde, il caffè sarà servito su tavolini in marmo bianco e le sale illuminate da lampadari in vetro di Murano. Famoso per l’omonima Anisetta, liquore a base di anice verde, divenne così famoso da essere citato persino da Trilussa (“Quante favole e sonetti m’ha ispirato la Meletti”).

Piazza Arringo e la Cattedrale di Sant’Emidio

Anch’essa completamente in travertino, Piazza Arringo è attorniata da edifici pubblici e privati risalenti ad epoche diverse. Qui si svolgevano i tornei cavallereschi (tra cui la Quintana rievocata ancora oggi) e, nel Medioevo, al centro si piantava un olmo sotto il quale il popolo soleva discutere di politica e giustizia.

Tra gli edifici principali svettano:

  • la Cattedrale di Sant’Emidio (o Duomo), dedicata al patrono della città e protettore dai terremoti. Costruita sui resti di una basilica romana adibita a tribunale, è un gioiello dell’arte. Basti pensare alla Cappella della Madonna delle Grazie, completamente mosaicata, al cinquecentesco ciborio posto sopra l’altare, quest’ultimo rivestito da un paliotto in argento, e allo spettacolare Polittico del Crivelli, voluto dal vescovo Caffarelli. Le due punte di diamante, tuttavia, restano la cupola, la volta e la cripta. La prima spicca per la rappresentazione delle virtù cardinali e le storie del Santo, mentre la seconda per il suo sfondo stellato blu che tanto ricorda la Cappella degli Scrovegni a Padova. Infine, la cripta, con la tomba di Sant’Emidio e le 63 colonne in travertino e marmo. La zona centrale della cripta è completamente decorata da mosaici che narrano gli avvenimenti accaduti in città nel 1944, quando divenne “città ospedaliera” durante la Seconda guerra mondiale.

👉 Curiosità: le 5 campane del Duomo hanno un nome. Partendo dalla più grande, dedicata a Sant’Emidio, si passa a Marina, Polisia (la giovane donna convertita dal Santo), Lucertola (vi è incisa la sagoma di questo rettile) e Marcuccia.

  • Il Battistero di San Giovanni, sito a sinistra della cattedrale. Le sue forme romaniche sono intatte e, come nel caso del duomo, fu costruito su un altro battistero che a sua volta sovrastò un’area romana sacra. Anch’esso costruito in travertino, presenta forme diverse, ognuna dal significato simbolico. La pianta quadrata simboleggia la terra e il peccato originale, l’ottagono il battesimo, la cupola il cielo, quindi la salvezza. La porta di ingresso più grande era l’ingresso per coloro che volevano battezzarsi, mentre quella più piccola serviva per uscire dal battistero da battezzati ed entrare nella cattedrale. All’interno del battistero, durante l’ultimo restauro del 2000, sono state ritrovate due vasche battesimali.

Sulla piazza si affacciano altresì il Palazzo vescovile, il Museo Archeologico Statale e il Palazzo dell’Arengo.

👉 Consiglio goloso: per uno spuntino o un pranzo veloce, fate tappa a “L’assalto ai forni”, un micro panificio in grado di produrre maxi prelibatezze. Mi sembra ancora di sentire il soave profumo del loro pane alle olive. Il forno è aperto dal martedì al sabato, dalle 8 alle 14.

Fare colazione alla Latteria Marini

A pochi passi da Piazza del Popolo, in pieno centro storico, si trova questa antica latteria, oggi bar, yogurteria e gelateria artigianale, famosa per il suo maritozzo con la panna. La Latteria Marini è una vera e propria istituzione in merito e noi, dopo un attento (e godurioso) esperimento, non possiamo che confermarne la fama.

Se io ho preferito testare la versione classica, Manager ha voluto esagerare con l’aggiunta della Nutella. Ebbene, non è riuscito a proferire parola per almeno cinque minuti, un record per lui. La prossima volta che torneremo ad Ascoli Piceno proverò la versione con il gelato artigianale. Ho la vaga sensazione che possa creare dipendenza ma sono intenzionata a voler rischiare…

maritozzo con la panna latteria marini ascoli piceno
I famosi maritozzi

La Rua delle Stelle

Questa breve stradina che costeggia un tratto del fiume Tronto parte dalla porta di borgo Solestà fino a raggiungere la ex chiesa di Santa Maria delle Stelle. La Rua delle Stelle è chiamata in dialetto “Rrète li mierghie”, ossia “dietro ai merli”. Questo perché costeggiava le mura di cinta di epoca medievale che, per l’appunto, erano merlate e sulle quali venivano stesi ad asciugare pelli, lane e altri tessuti. Il nome odierno si deve alla chiesa costruita nel 1586 per custodire un’icona della Madonna di Loreto.

👉 Curiosità: il termine “rue” che caratterizza diversi vicoli della città deriva dal latino “ruga” e fu scelto per denominare le vie che dalle mura portano al centro storico,

Il Sestiere Solestà

A pochi passi dall’inizio della Rua delle Stelle si trova borgo Solestà. Questo deve il suo nome a Porta Solestà (o Porta Cappuccina), ricostruita nel 1230, che funge da ingresso al quartiere. Un ingresso con i fiocchi se si considera anche il ponte romano di epoca augustea, perfettamente conservato, lungo ben 62m e con un unico arco di 22m, il tutto costruito a secco.

Una volta attraversato il ponte vi troverete di fronte all’antico lavatoio di Sant’Emidio (o dei Tintori). Risalente al XVII secolo, la Fonte di Sant’Emidio, altro nome con cui è noto, è fortemente legata alla figura del Santo. Si narra, infatti, che avendo bisogno di acqua per battezzare i fedeli convertitesi al Cristianesimo, il Santo iniziò a battere su una pietra formando così una nuova sorgente che poi alimentò la fonte. Un’altra versione vuole che che la testa del Santo, decapitata presso il vicino Tempietto di Sant’Emidio Rosso, rotolò verso il ponte colpendo una pietra dalla quale l’acqua della sorgente iniziò a sgorgare.

👉 Curiosità: in passato, la fontana maggiore del lavatoio veniva utilizzata dai tintori che in questa zona avevano le loro concerie e tintorie. Pare che questi, intenzionati ad avere in esclusiva l’utilizzo della fontana, tentarono di impedire alle lavandaie di lavare i panni “dopo le ore 22 fino al giorno seguente”. Come potrete immaginare, le lavandaie non la presero bene e risposero gettando “saie, pannine ed altro” nelle vasche. Indovinate chi ebbe la meglio? Sulla parete interna del lavatoio troverete la soluzione iscritta su due conci: “Non si impedisca alle donne di lavar panni sotto pena di tre scudi d’ordine del Consiglio celebrato. Lì 3 febbraio 1677”.

Proseguendo su via Berardo Tucci si arriva al Tempietto di Sant’Emidio Rosso. Eretto nel 1633, custodisce, sotto l’altare, la pietra sulla quale, secondo la tradizione religiosa, Sant’Emidio sarebbe stato decapitato il 5 agosto del 303 (o 309). Una vera e propria reliquia conservata in un luogo completamente dipinto di rosso, a ricordo del sangue versato dal Santo.

Infine, continuate fino a via Galié (incrocio con via Francesco Saladini) per poter ammirare il murale di Millo “Backpack Home”.

Via Pretoriana (sestiere Piazzarola)

Via Pretoriana è l’antica via che attraversa il centro storico della “città delle 100 torri”, il prolungamento del cardo massimo di epoca augustea. La si percorre, accompagnati da edifici medievali, rinascimentali e barocchi, per entrare nel cuore del sestiere Piazzarola, con il suo aspetto di antico borgo medievale.

Questa antica arteria della città si presenta con una leggera salita che tuttavia nasconde scorci molto suggestivi, le antiche botteghe artigianali ed elementi architettonici originali come bifore gotiche, finestre dalle cornici guelfe e torri gentilizie. Un vero e proprio viaggio a ritroso nel tempo.

Assaggiare le olive ascolane

Le olive ascolane sono senza alcun dubbio il piatto più famoso di Ascoli Piceno. L’oliva tenera ascolana, già nota ai Romani, è l’ingrediente principale di questa delizia fritta, ripiena di carne, che si trasformerà, dopo il primo boccone, in una dipendenza. Se a questo aggiungiamo i cremini, beh, “la frittata è fatta”!

Se volete gustarvi delle olive ascolane e dei cremini fatti a regola d’arte, fate un salto alla Bottega dell’oliva ascolana, un piccolo laboratorio artigianale dove, vi sfidiamo, è inevitabile non tornare per un secondo giro di fritto!

Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio

Camminando per raggiungere la Bottega dell’oliva ascolana, ci siamo imbattuti nella chiesa dei SS Vincenzo e Anastasio. Edificata in stile romanico, il suo interno è a dir poco austero. Questo è dovuto alla decisione, nel XVI secolo, di rivestire d’intonaco le mura che erano completamente affrescate.

La chiesa colpisce per la sua facciata rettangolare decorata a 64 riquadri e per la sua cripta. La prima in passato presentava dipinti a fresco di personaggi ed episodi del Vecchio e Nuovo Testamento, mentre la seconda, risalente al IV-VI secolo, è dedicata a San Silvestro.

All’interno della cripta ipogea si svolgevano le cerimonie battesimali e si trova ancora una vasca, detta “Pozzo di San Silvestro”, alimentata in passato da acqua “miracolosa” in grado di guarire lebbra e rogna. La cripta, inoltre, era decorata da affreschi trecenteschi. Di questi restano alcune tracce visibili che testimoniano come fossero legati alla leggenda di San Silvestro.

Tempietto di Sant’Emidio alle Grotte

Questo tempio votivo, edificato nel 1717 sul luogo delle catacombe della città, fu eretto in onore del patrono. Si tratta dell’unico luogo del nostro itinerario fuori dal centro storico che abbiamo raggiunto in auto ma volendo si può raggiungere anche a piedi con una bella passeggiata di circa 20 minuti dal centro.

Il Tempietto di Sant’Emidio alle Grotte, secondo la tradizione, fu il luogo dove il Santo, dopo essere stato decapitato, si recò a piedi con la sua testa tra le mani (in contrasto con la storia della creazione della fonte del lavatoio). Qui riposarono le spoglie di Sant’Emidio e dei suoi discepoli fino al momento della loro traslazione all’interno della Cattedrale.

La sua facciata in travertino incastonata nella parete di tufo è sicuramente d’impatto. Al suo interno, una grotta naturale di roccia tufacea con una statua benedicente del Santo. Ciò che vediamo oggi è frutto di un ex voto dei cittadini come segno di ringraziamento per Sant’Emidio che li protesse dai sismi del 1703.

Tempietto Sant'Emidio alle Grotte
Tempietto Sant’Emidio alle Grotte

Il Forte Malatesta e il Ponte di Cecco

Imponente è sicuramente uno degli aggettivi che meglio descrive il Forte Malatesta (o Rocca Malatestiana). Oggi sede del Museo dell’Alto Medioevo (orari, biglietti e giorni di apertura) e di mostre di arte contemporanea, fu in passato luogo di culto, antico fortilizio, caserma e carcere.

Alle sue spalle il Ponte di Cecco, risalente al I secolo a.C., distrutto dalle truppe tedesche durante la Seconda guerra mondiale e ricostruito nel 1960. Un ponte le cui origini sono divenute soggetto di leggende. Una di queste lo farebbe risalire a Cecco Aprutino, chiamato da Galeotto I Malatesta per ristrutturarlo. La versione più fantasiosa vuole che il nome del ponte sia stato dato dal poeta ed astrologo Cecco d’Ascoli che lo edificò in una sola notte con l’aiuto del diavolo. Tale opera gli sarebbe valsa la dichiarazione di eretico dalla Chiesa.

Cosa vedere nei dintorni di Ascoli Piceno

In meno di un’ora di auto da Ascoli Piceno è possibile raggiungere numerose destinazioni in grado di accontentare chiunque ami la natura, i borghi e persino le terme. Ecco alcune idee su cosa vedere nei dintorni di Ascoli Piceno:

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