Sigismondo Pandolfo Malatesta e Isotta degli Atti: una storia d’amore made in Rimini

Romeo e Giulietta a Verona, Paolo e Francesca a Gradara, Filumena e Mimì a Napoli, Antonio e Cleopatra in Egitto: sono solo alcuni esempi di storie d’amore legate a doppio filo a città italiane e non. Che si tratti di coppie famose o meno note, sono tante le vicissitudini amorose di giovani amanti ad aver influenzato alcune destinazioni, anche solo dal punto di vista turistico.

Anche la nostra Rimini rientra di diritto tra le “città dell’amore” con non una, ma ben due coppie celebri: Federico Fellini e Giulietta Masina e Sigismondo Pandolfo Malatesta e Isotta degli Atti. Nel caso di Fellini, a cui è dedicato l’imperdibile Fellini Museum, parliamo di una coppia del Novecento, di cui si conoscono diversi dettagli, complici i media e la popolarità del regista riminese. Nel caso di Sigismondo e Isotta, trattandosi di una storia di epoca rinascimentale – senza TV, radio o social media – ciò che sappiamo deriva da ben più limitate testimonianze storiche. Era molto più comune e semplice esaltare le gesta politiche e militari di Sigismondo rispetto alla sua vita amorosa, per quanto piuttosto animata!

Isotta degli Atti

Per poter raccontare al meglio la storia d’amore tra Sigismondo e Isotta, è necessario soffermarsi brevemente sulla protagonista femminile della coppia. Isotta degli Atti era figlia di un ricco mercante di lane di Sassoferrato (poi funzionario malatestiano) e prese il nome della madre, morta nel darla alla luce alla fine del 1432 (data incerta). Sigismondo la notò alla tenera età di 12 anni, quando ancora era sposato con la sua seconda moglie, Polissena Sforza.

Convolata a nozze – le terze per Sigismondo – nel 1456, Isotta divenne un personaggio importante per la città di Rimini e i territori governati dai Malatesta. Proprio le lunghe assenze del marito, noto condottiero, la portarono a prendere le redini del governo della città. Un compito che svolse con grande saggezza e competenza, dimostrandosi all’altezza di trattare con ambasciatori e diplomatici. In quanto donna (del suo tempo), inoltre, era stata cresciuta per essere una moglie perfetta, con il compito di consolare il “suo signore” nei periodi più bui, quando le scelte politiche si dimostravano sbagliate o quando era sotto tiro dei suoi più acerrimi nemici, Federico da Montefeltro e papa Pio II.

Brillante, irreprensibile, colta, intelligente, vendette i suoi gioielli per sostenere il marito cacciato da Rimini e assunse il governo di Rimini alla morte di Sigismondo. Non lo fece da sola, bensì con l’aiuto di Sallustio, il suo figliastro, entrambi eredi universali dei suoi beni privati nominati da Sigismondo nel suo testamento. Di fronte alle tante difficoltà, provò a trovare un accordo con l’altro figlio naturale illegittimo di Sigismondo, Roberto, al tempo reggente a Pontecorvo per il papa. Quest’ultimo convinse il pontefice, allora Paolo II, a mandarlo a Rimini per riconquistare, a nome della Chiesa, la città. Ciò che sia Isotta che il papa ignoravano era che Roberto, nel 1469, sconfisse l’esercito della Chiesa, fece uccidere Sallustio in un’imboscata ed esautorò gradualmente la matrigna, la quale trascorse gli ultimi anni della sua vita occupandosi principalmente degli interessi della sua famiglia di origine. Morì nel 1474.

Sigismondo Pandolfo Malatesta

Figlio illegittimo di Pandolfo III Malatesta e Antonia da Brignano, nacque nel 1417 a Brescia, città di cui il padre era signore. Si trasferì a Rimini, alla corte di suo zio Carlo Malatesta, con i suoi due fratelli all’età di 10 anni. Orfani di padre, grazie allo zio ottennero la legittimazione del papa.

Sigismondo Pandolfo Malatesta ereditò la signoria di Rimini nel 1431, dopo che suo fratello Galeotto Roberto decise di prendere gli ordini. E come tutte le signorie che si rispettano, i matrimoni combinati spuntano all’orizzonte. Sigismondo si sposò tre volte: la prima con Ginevra d’Este (figlia di Niccolò d’Este), la seconda con Polissena Sforza (figlia di Francesco Sforza), la terza con la “nostra” Isotta.

Uomo dalle spiccate abilità militari, fu gonfaloniere della Santa Sede e rimase sotto la sua protezione fino al 1459, anno della salita al soglio pontificio di Pio II. Tra i due non scorreva buon sangue e, al congresso di Mantova, il papa gli impose condizioni così umilianti da scatenare la ribellione di Sigismondo e conseguente scomunica. Il papa si alleò con Federico da Montefeltro, nemico storico del signore di Rimini, la sua “kryptonite”. Rimasto con la “sola” città di Rimini, partì per Morea a combattere contro i Turchi e tornò solo alla morte di Pio II (giusto per stare sul sicuro).

Astuto, forte, ambizioso, talvolta di pochi scrupoli, un mecenate spesso temuto e invidiato ma anche elogiato, persino da Pio II, colui che lo scomunicò, che lo accusò di omicidio, adulterio, incesto, spergiuro e chi più ne ha più ne metta. Di Sigismondo scrisse che

Aveva un singolare acume, era dotato di una pari forza fisica; conosceva la storia nelle sue tradizioni e nei suoi avvenimenti; qualsiasi argomento s’accinse a trattare, sembrava nato per essi“.

Morì nel 1468 a soli 51 anni, lasciando Isotta e Sallustio al comando della signoria di Rimini.

Sigismondo e Isotta, la loro storia d’amore

Ricapitolando, i due piccioncini si conoscono per la prima volta quando lei aveva 12 anni e lui 28. Al tempo, Sigismondo era ancora sposato con Polissena Sforza ma, come si dice, quando avviene un colpo di fulmine si può fare ben poco: Sigismondo si innamorò della giovane rampolla degli Atti e i due divennero amanti. Dopo un anno di “corteggiamento”, Isotta diede alla luce il loro primo figlio, Giovanni, che morì in fasce dopo pochi mesi. Una tragedia che Isotta visse come una punizione divina per la relazione extraconiugale che si era instaurata tra i due.

▶︎ Curiosità: il piccolo Giovanni è sepolto nel Tempio Malatestiano nell’arca dello zio di Sigismondo, Carlo Malatesta. Si pensa che la decisione sia stata presa per coprire lo scandalo della relazione clandestina, che ormai tanto clandestina non era più.

Quando Polissena morì di peste – sebbene Sigismondo fu accusato da Pio II di duplice uxoricidio – il signore di Rimini non convolò subito a nozze, bensì attese sette anni prima di rendere pubblica la relazione con la sua amante. What a gentleman, si potrebbe pensare. Spiacenti di deludervi. Sigismondo aveva sposato le figlie del marchese d’Este, prima, e del conte Sforza poi, due signori potenti con i quali era del tutto logico e sensato voler andare d’accordo. Inoltre, il nostro Casanova ebbe numerose altre amanti, dalle quali ebbe dei figli. Insomma, Isotta dovette attendere che si calmassero le acque.

Sposatisi nel 1456, ebbero diversi figli ma solo Antonia sopravvisse, andando in sposa a Rodolfo Gonzaga, il quale la uccise per averlo tradito con il maestro di danza.

A differenza dei primi due matrimoni, questo fu un matrimonio d’amore. Sigismondo, detta senza mezzi termini, non trasse da questa unione alcun vantaggio, né politico né militare. Era Isotta la donna della sua vita, colei che riusciva a confortarlo, la sua consigliera, fedele “nella buona e nella cattiva sorte” (sebbene la stessa cosa non si potesse dire di lui).

Il suo amore per Isotta fu celebrato in tutte le forme di arte, dalla poesia all’architettura, dall’araldica alla musica. A lei Sigismondo dedicò medaglie, ritratti e persino il “torrione isotteo”a Senigallia, nelle cui fondamenta furono gettate monete con le sue effigi. Da nobile qual era, la ricoprì di vesti, gioielli e ornamenti. In onore alla sua amata, creò la sua tomba all’interno della chiesa di San Francesco, oggi Tempio Malatestiano, per garantirle eterna fama, e le dedicò una poesia.

“O vaga e dolce luce anima altera! Creatura gentile o viso degno
O lume chiaro angelico e benigno. In cui sola virtù mia mente spera.
Tu sei de mia salute alta e primiera anchora che mantien mio debol legno
Tu sei del viver mio fermo sostegno, Tortora pura candida e sincera.
Dinanzi a te l’erbetta e i fior s’inchina, Vaghi d’essere premi del dolce pede
E commossi del tuo ceruleo manto.
Il sol quando se leva la matina, Se vanagloria e poi quando te vede
sconficto e smorto se ne va con pianto

I luoghi legati alla coppia

Questa coppia era legata da un profondo e sincero sentimento che risalta, si percepisce, in due luoghi simbolo della città di Rimini: Castel Sismondo e il Tempio Malatestiano. Il primo a pochi passi da Piazza Cavour, antica piazza del commercio e dove si affacciano Palazzo dell’Arengo e del Podestà, il secondo vicino a Piazza Tre Martiri, antico forum romano.

Castel Sismondo

Sigismondo Pandolfo Malatesta iniziò la costruzione di Castel Sismondo (o Rocca Malatestiana) nel 1437. Concepito come residenza e corte, si tratta di una struttura diversa da quelle presenti a Verucchio e Santarcangelo di Romagna. Tra gli architetti che lavorarono alla progettazione del castello spicca Filippo Brunelleschi, il quale si occupò del mastio e della porta di accesso con merlatura e supervisionò i lavori.

Entrando nel cortile attraverso il suo portale gotico, si ha subito l’impressione che si tratti di una residenza imponente, eretta anche per proteggersi dagli attacchi dal mare. Sigismondo preferiva le residenze dell’entroterra e pare che qui non visse quasi mai. Viene considerato un omaggio alla sua famiglia, testimoniato anche dalla presenza dell’araldica malatestiana, come lo scudo a scacchiera nello stemma, la rosa quadripetala e l’elefante, che qui si presenta con la proboscide alzata e una criniera simile a quella di un leone. Per non parlare dell’epigrafe in latino sopra il portale a celebrazione del gesto di Sigismondo di voler dedicare la rocca ai Riminesi, inaugurandola nel 1446.

Ma perché, se Sigismondo vi abitò di rado, questo castello è legato alla nostra coppia? Sebbene non vi siano prove a confutare la teoria, pare che, prima di abitare nel castello, la coppia visse in un palazzo a pochi passi dal castello. Una volta pronto, l’ala a sinistra divenne la residenza primaria di Isotta, rimasta sola a governare dopo la morte di Sigismondo.

L’ala di Isotta è ad oggi quella più autentica ed originale, sviluppata su tre piani e collegata al resto di questa residenza-fortezza. Al piano terra vi erano gli ambienti di rappresentanza, al primo piano gli ambienti privati, mentre al piano interrato vi erano i magazzini.

Oggi il castello si presenta in una versione differente rispetto all’originale, in parte a causa di modifiche avvenute in particolar modo nel ‘700 e nell’800, in parte perché durante la Seconda guerra mondiale fu utilizzato come carcere.

castel sismondo esterno
Castel Sismondo

Il Tempio Malatestiano

A differenza di Castel Sismondo, il Tempio Malatestiano (per noi Riminesi “la cattedrale”), fu costruito a partire dal 1447. Eretto sull’antecedente chiesa romanica di San Francesco, per noi resta un vero capolavoro. Non solo perché presenta un perfetto mix di stili, ma soprattutto perché, sebbene incompleto, è da sempre un luogo iconico di Rimini, unico nel suo genere.

Sigismondo Pandolfo Malatesta si affidò questa volta a Leon Battista Alberti per la progettazione del suo tempio. Un tempio pagano, per l’appunto, poiché ad eccezione del crocifisso di scuola giottesca all’interno, vi sono tombe e non riferimenti alla religione cattolica. Non è un caso che il “miglior amico di Sigismondo”, papa Pio II si appigliò anche a questa opera per condannarlo.

Sigismondo non riuscì a vedere completato il proprio tempio. La scomunica da parte del papa, infatti, segnò l’inizio del declino della dinastia Malatesta. Se la parte superiore esterna non risulta finita, l’interno – al contrario – lo è.

Sigismondo volle celebrare sia la sua famiglia sia il suo amore per Isotta creando delle splendide cappelle laterali.

La cappella di Isotta, la seconda sulla destra, è dedicata a lei e all’amor cortese e malatestiano. Si tratta della cappella più romantica, con putti malatestiani – metà angeli e metà bambini – tutti diversi, sulla balaustra e con in mano lo stemma dei Malatesta in bassorilievo. Morta nel 1474, Isotta venne sepolta qui con una sontuosa cerimonia, in un sarcofago avvolto da una ghirlanda, allegoria del potere della famiglia, sostenuto da elefanti.

Sigismondo, per differenziarsi, scelse di essere collocato all’interno dell’arcata sulla destra e non in una cappella. Questo “per poter controllare il flusso di persone”. Il suo sarcofago è il più semplice di tutti, posto su una base con stemmi.

La sigla SI

Sia all’interno che all’esterno del Tempio Malatestiano, quale esempio dell’araldica malatestiana, ricorre molto spesso la famosa sigla “SI”, singolarmente e all’interno dello stemma con scacchiera. Queste due lettere intrecciate hanno per anni solleticato l’immaginario romantico delle persone, convinte che rappresentassero le iniziali di Sigismondo e Isotta, ad ulteriore riprova del loro grande amore. Una sorta di evoluzione dell’incisione delle iniziali su un albero, racchiuse da un cuore, no?

Anche in questo caso siamo costretti a lasciarvi un po’ di amaro in bocca. All’epoca, infatti, era uso comune per i signori utilizzare e rappresentare le prime due lettere del proprio nome (SI-Sigismundus) su monumenti e/o oggetti per esprimere la propria forza e potenza. Sigismondo ne fece largo uso, anche su oggetti che non avevano alcun legame con Isotta.

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