Cerreto di Saludecio, il “paese degli sciocchi”

Alzi la mano chi non resta affascinato o non si incuriosisce davanti alle leggende. Noi ne siamo dipendenti, aggiungono un tocco in più al luogo che visitiamo, ci aiutano a conoscerlo meglio, a scoprirne lati che normalmente non compaiono nelle guide o nei post online.

È vero che finora vi abbiamo raccontato principalmente leggende con, come protagoniste, donne dall’infausto destino ma questa volta si cambia registro.

Il borgo (semi) abbandonato di Cerreto di Saludecio

Le storie, o meglio le leggende, che stiamo per raccontarvi hanno come protagonisti gli abitanti di un piccolo borgo semi-abbandonato della Valconca, un’enclave del comune di Saludecio ma che territorialmente si trova nel comune di Mondaino.

Cerreto di Saludecio, appollaiato su una dolce collina (link Google Maps), è un antico borgo medievale fortificato (restaurato) le cui origini risalgono al 1231, quando le sue mura accoglievano una cinquatina di persone. Soggetto alla dominazione veneziana e dello Stato Pontificio, finì per essere gradualmente abbandonato alla fine del secolo scorso.

Cerreto non è un borgo noto per il suo inestimabile patrimonio artistico: non vi troverete né tele del Caravaggio né sculture del Canova, per intenderci. È un borgo semi-deserto, che il Signor Tempo sembra aver volontariamente ignorato, lasciandolo come sospeso, protetto dalle sue mura. Quindi, perché parlarne?

Il paese degli sciocchi

Cerreto di Saludecio, come nel caso di tanti altri borghi abbandonati sparsi un po’ ovunque in Italia, è famoso per le storie che lo riguardano, leggende tramandate di generazione in generazione che suscitano non poca curiosità e, spesso, ilarità.

Pare che, in passato, Cerreto fosse noto come “il paese degli sciocchi”. Secondo la leggenda, infatti, i suoi abitanti non dovevano essere – come dire – dei Premi Nobel! Al contrario, venivano sbeffeggiati per i loro (presunti) comportamenti alquanto assurdi. Magari erano solo più eccentrici, o semplicemente combinavano più guai, o forse erano davvero un po’ più stupidi, fatto sta che su di loro giravano storielle (inventate?) che ancor oggi fanno parte delle tradizioni di questa zona.

Pensate che fino a qualche anno fa, a Cerreto si festeggiava un carnevale particolare durante il quale, in onore a questo appellativo, si raccontavano questi bislacchi aneddoti e si accendeva un falò su cui veniva bruciato un pagliaccio. Anche le maschere erano molto inusuali: vi era “l’uomo edera”, a simboleggiare lo spirito vegetale o un’anziana che portava a cavalcioni il marito, protagonisti delle varie storie!

Ma siete curiosi di scoprire alcune delle storie che sono valse ai Cerretani questo soprannome?

La polenta nel pozzo (La pulenta t’è pèz)

Si narra che, in occasione di una festa di paese durante la quale si stava cucinando la polenta per tutti, i Cerretani decisero di non prepararla ognuno a casa propria, bensì di utilizzare il pozzo del borgo come paiolo. Così, giusto per far prima! Mentre il pozzo veniva riempito con acqua bollente e farina, un paesano decise di gettarvisi per verificare lo stato di cottura della polenta. E qui arriva il bello. Sì perché quando poco dopo si iniziò a sentire il compaesano nel pozzo deglutire, scoppiò un vero e proprio caos. Gli altri, infatti, credettero che il furbacchione si stesse mangiando tutta la polenta “in solitudine”. Che fare, dunque? Tirarlo su e “conciarlo per le feste”? No, i Cerretani si gettarono a capofitto nel pozzo insieme al primo assaggiatore.

Il cannone di legno

L’idea bislacca alla base di questa storia nasce da una guerra tra Cerreto e la vicina Levola. Intenzionati a voler bombardare i nemici, i Cerretani decisero di costruire un cannone. Tuttavia, non avendo a disposizione sufficiente ferro per crearlo, decisero di fabbricarne uno in legno. Ora, non crediamo sia necessario ribadire cosa successe quando accesero la miccia, ma è la riflessione a posteriori che – non ve lo nascondiamo – ci ha fatto piangere dalle risate: “Se da noi è successo questo, di là non è rimasto niente…”.

Una gita a Rimini

I Cerretani pare fossero consci dei propri “limiti intellettuali” così, per ovviare a questa mancanza, scelsero un manipolo di persone – le “migliori” del paese – e li mandarono a piedi a Rimini per “acquistare un po’ di giudizio” al mercato cittadino. In passato, per raggiungere Rimini era necessario un intero giorno di viaggio e “i prescelti”, arrivati verso sera a metà strada, stanchi e scoraggiati, decisero di tornare indietro. Una volta a casa, raccontarono ai compaesani, rimasti a Cerreto in trepidante attesa di innalzare il loro Q.I., che la tratta mancante l’avrebbero percorsa il giorno dopo!


Queste sono le uniche tre storie di cui conosciamo, come si suol dire, “capo e coda”. Abbiamo sentito anche parlare di un asino che si beveva la luna dallo stagno, di spaghetti mangiati nel pitale e persino di una chiesa che andava spostata perché dava fastidio. Vi lasciamo immaginare come possano essersi sviluppate tali “buffonate”. Ci stiamo impegnando per trovare quante più fonti possibili per ricostruirle e raccontarvele, quindi considerate questo post un work in progress. Nel frattempo, speriamo di avervi strappato una bella risata!

Ti potrebbero anche interessare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.