Lavorare in un summer camp in Inghilterra: la mia esperienza

summer camp inghilterra

Ci sono voluti alcuni giorni per metabolizzare l’esperienza che ho vissuto nel mese di luglio. Vuoi perché invece di 4 settimane ne ho lavorate 3 (sono tornata alcuni giorni prima per lutto in famiglia), vuoi perché quando sei esausta non hai la mente lucida e vedi tutto nero, fatto sta che solo ora sono riuscita a riordinare le idee e a mettere nero su bianco cosa è significato per me lavorare in un summer camp in Inghilterra

Devo ammettere che appena tornata in Italia il primo pensiero è stato: “mai più farò una cosa del genere”, ma come ho detto non avevo la mente lucida, troppi pensieri, troppa stanchezza, troppo di tutto, caldo compreso (vogliamo dire che ho beccato una delle estati più calde della storia della Gran Bretagna?). Ora posso affermare con assoluta certezza che era un’esperienza che dovevo fare e che non escludo possa ripetere anche in futuro, a condizioni diverse.

Lavorare in un summer camp in Inghilterra: i lati positivi

Queste tre settimane mi hanno insegnato e dato tanto: non avevo mai avuto studenti provenienti da diverse parti del mondo in un’unica classe e questo ha senza alcun dubbio rappresentato una bella sfida. Ricordo bene il primo giorno di lezioni, ero nell’aula insegnanti e il cuore batteva a 1000. Poi, come sempre, sono entrata in classe e l’ansia è scomparsa. Mi sono sentita subito a mio agio, nel mio habitat, ho dovuto solo apportare alcuni aggiustamenti per sentire quella classe come “casa mia”.

cheltenham college
Mica male lavorare qui, eh?

I ragazzi erano TUTTI adolescenti, dai 12 ai 17 anni (sì, posso immaginare le vostre facce in questo momento). Nei miei peggiori incubi apparivo così

Lavorare con ragazzi in quella fascia di età significa calibrare e soppesare ogni parola, non solo perché ognuno di loro ha un proprio retaggio culturale, ma soprattutto perché sebbene gli adolescenti possano talvolta essere dei veri tesori, il più delle volte sono delle merdacce di primo livello e sanno farti pentire amaramente di ciò che dici. Sì, lo so, non dovrei dirlo da insegnante ma sfido chiunque ad affermare il contrario.

Il fatto di avere diverse nazionalità all’interno della stessa classe è stato entusiasmante, vederli confrontarsi sui temi più disparati è stato spesso un rischio ma anche esilarante. Perché è vero che inizialmente tendono a rimanere con il loro gruppo, nella loro comfort zone, ma è altresì vero che il giorno prima di partire si vedono scene strappalacrime di ragazzi disperati perché non potranno più giocare e divertirsi con i loro nuovi amici. Scene che mi hanno fatta commuovere, che mi hanno ancora una volta confermato che lavorare con queste “teste dure” sia tanto difficile quanto gratificante (non sempre ma non si può avere tutto, giusto?).

Lavorare in un summer camp in Inghilterra: i lati negativi

Credevo che da romagnola ultratrentenne l’epoca della stagione estiva (lavorativa) fosse ormai un ricordo. Mi sbagliavo, e di grosso. È vero che si viene pagati nettamente di più rispetto al nostro Bel Paese ma posso garantirvi che vi fanno sudare (in tutti i sensi) ogni singolo penny. Come dite? È perché non sono più così giovane? È probabile, ma credo che l’organizzazione non propriamente stile britannico abbia svolto un ruolo fondamentale. Difficile da credere, vero? Eppure così è stato.

Avere studenti internazionali può essere molto stimolante ma può essere anche fonte di tanta frustrazione, in particolare quando ti trovi di fronte a ragazzi provenienti da paesi dove il rispetto della donna non è proprio una priorità. Sono stati proprio loro l’unico problema a livello disciplinare che abbiamo riscontrato (parlo al plurale perché gli insegnanti erano praticamente quasi tutte donne). Tuttavia, nonostante il mal di fegato, la loro mancanza di rispetto nei nostri confronti che si tramutava subito in atteggiamento da soldatini in presenza di un insegnante uomo, mi è comunque dispiaciuto non poterli seguire fino alla fine del mese. Farli interessare alle lezioni era diventata una vera e propria sfida. Matta? Forse! L’unica cosa che mi auguro è che crescendo ed entrando sempre più in contatto con altre culture diverse possano anche solo prendere in considerazione un altro punto di vista.

Lavorare in un summer camp in Inghilterra: gli studenti italiani

Ma passiamo alla parentesi casereccia di questa esperienza: gli studenti italiani. Oh, i miei studenti italiani, gioie e dolori della mia madrepatria. Durante le prime due settimane ho avuto oltre 30 studenti (solo nelle mie classi, il gruppo era di oltre 70 ragazzi) provenienti – prevalentemente – da Napoli e Pisa. Non rivelare la mia nazionalità proprio a loro è stata una missione impossibile. Non ridere, mostrare indifferenza o sfoderare espressioni facciali stile “non ho idea di cosa tu stia dicendo” alle loro battute e discorsi è stato a tratti snervante. E vogliamo parlare della loro cocciutaggine nel voler parlare sempre italiano anche in classe? A tratti avrei voluto strangolarli!

Fatto sta che la sera prima della loro partenza, vista la loro insistenza nel voler parlare italiano fra di loro, ho deciso di svelargli il mio segreto. Fuori dalla mensa, a pancia piena, facciamo alcune foto e selfie insieme. “Hey teacher, let’s —– a picture together”. Al loro (in italiano) “qual è il verbo che va con le foto?” gli rispondo. Sguardi terrorizzati a cui replico, scoppiando a ridere, con “ragazzi sono italiana”. Da terrorizzati a impietriti. “O cavolo (versione elegante), quindi hai capito ogni singola cosa che abbiamo detto? Ma perché non ce l’hai detto? Perché hai fatto sempre finta di non capire?”. Ma la mia preferita è stata “Ma hai studiato recitazione?”

Un paio di loro ci sono rimasti male, il che non ha fatto altro che farmi sorridere ancora di più. Non sono crudele, in fondo l’ho fatto per loro.

  • “Se vi avessi detto subito che ero italiana, avreste parlato inglese in classe?”
  • “No”
  • “Ecco, adesso capite il perché del segreto”
  • “E perché ce lo dici ora?”
  • “Perché domani partite”

Sono convinta che due accidenti me li abbiano mandati (anche solo con il pensiero) ma il resto della serata è trascorsa all’insegna del divertimento e la mattina seguente, mio giorno libero, mi sono alzata per poter salutare tutti i miei studenti in partenza, italiani compresi, i quali mi hanno fatto scendere pure la lacrimuccia. E niente, come si dice in Romagna, sono proprio una patacca!


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20 commenti

  1. Ero tanto curiosa di leggere questo post! Dev’essere stata proprio un’esperienza faticosa, ma anche gratificante! Avrei voluto vedere le facce degli studenti quando hai svelato di essere italiana😄😄😄

    1. Se non ci fosse stato questo benedetto GDPR avrei fatto un video 😂 ma ci è stato proibito (pena pudding per una settimana 😂)

  2. Ah che bello! Ho fatto diverse vacanze-studio quando ero adolescente, e ho ricordi dolcissimi di quelle estati dove, in due settimane, si condividevano importantissimi pezzi di vita con altri adolescenti, all’inizio sconosciuti e poi all’improvviso migliori amici. Non avevo mai pensato al punto di vista degli insegnanti, è stato davvero bello leggere questo tuo post! Non nego che un’esperienza del genere piacerebbe anche a me… quali sono i requisiti? Se ti va dammi qualche info! 🙂

    1. Ricordo male o anche tu hai conseguito il Celta? Diciamo che come titolo è sufficiente, se poi aggiungi un po’ di esperienza meglio ancora. Io ho semplicemente fatto domanda in una delle tante language schools che organizzando i campus estivi, se ti interessa ti mando in privato il contatto. Fatta la domanda, classico colloquio su skype e se tutto va bene contratto dopo pochissimi giorni.

  3. Mai fatta un’esperienza come questa! Deve essere stata in ogni caso, interessante. Ci sono sempre pro e contro … ma fare esperienza credo significhi anche questo! Bella idea, peccato non averci mai pensato :-)Pena Pudding per una settimana?? e non l’hai fatto ??? Non so se si nota … ma mi piace tantissimo il pudding 🙂

  4. Che esperienza! Io ho fatto per varie estati scuole di inglese in Inghilterra ma avevo sempre un’altra età (dai 17 in poi) quindi non sono mai stata in classi indisciplinate e in classe non eravamo mai piu di 10.
    Se ci sarà una prossima volta, ti auguro di trovare una classe decisamente migliore! Hai fatto benissimo a non rivelare fino all’ultimo di essere italiana, immagino le loro facce! 😄

    1. Le classi di per sé non superavano i 15 studenti, niente male, forse dovevano mischiare di più le nazionalità. Ma come si dice, non si puo’ avere tutto!

  5. Ti hanno fatto un po’ arrabbiare ma alla fine porterai questo ricordo sempre con te Erica! Fosse solo per le facce dei ragazzi quando hanno capito che sei italiana ahahha 😉

  6. La parte che mi è piaciuta di più è stata “Ma hai studiato recitazione?”
    E’ anche un punto a favore dei non-native teachers nell’eterna diatribe native vs non-native.

    1. Hai detto bene, una diatriba eterna….per fortuna piano piano (anzi pianissimo) ci stiamo facendo sentire 😅
      Grazie per essere passata
      Erica

  7. Che esperienza! Posso solo immaginare la fatica perché tanti ragazzini di quell’età tutti insieme…non deve essere affatto semplice. Comunque sei stata bravissima a non svelare la tua nazionalità, e la domanda sul corso di recitazione mi ha fatto morire 😂

    1. A chi lo dici, non riuscivo a smettere di ridere, il modo in cui l’ha detto è stato esilarante! Risate a parte, sono sempre più convinta che la scelta sia stata quella giusta.

  8. Deve essere stata una bella esperienza tosta! Personalmente non portata all’insegnamento e quindi ammiro chi lo fa (soprattutto lavorando con gli adolescenti!).

    Vorrei essere stata li con te quando hai detto che eri italiana: non oso immaginare la faccia dei due ragazzini. Comunque hai fatto bene e capisco il tuo motivo: qualche anno fa, mi è capitato di fare un corso intensivo di tedesco a Friburgo che sta proprio sul confine tra Svizzera e Francia … sta di fatto che ero l’unica italiana tra francesci e svizzeri del cantone francese: mi sono dovuta far cambiare d’aula perché stavo imparando il francese anzichè il tedesco!

    1. Purtroppo quello di rimanere nel proprio gruppetto e fare “comunella” è un fenomeno piuttosto diffuso, per fortuna hai avuto l’intelligenza di farti cambiare aula, in molti non lo avrebbero fatto. Detto ciò è stata un’esperienza tosta ma con il senno di poi e a mente fredda la rifarei, chissà….

  9. Non credo che la mia vocazione spiccatamente anti-millennial mi avrebbe consentito di mantenere l’aplomb british che hai saputo avere tu 😛
    (non credermi…io poi mi sciolgo) 😉
    Al di la del sudore e della faticaccia è stata una splendida esperienza, si percepisce dal trasporto fra le tue righe ^_^
    E comunque sarebbe stato difficile “sgamarti” visti i tuoi tratti nordeuropei 😉
    Buona serata!

    1. Forse con uno sguardo “alla Orsa” avresti saputo conquistarli, ne sono certa 😄 Sono adolescenti, fanno arrabbiare per principio, ma sanno anche farti scendere la lacrimuccia (sì ok, sono troppo emotiva, è ovvio, sono il mio tallone d’Achille!). Ai tratti nordeuropei non ci avevo pensato anche se in effetti non sembro la tipica italiana 😅

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