“C’era una volta la Valle dell’Aso”. È così che avrei voluto iniziare questo post perché, riguardando le foto scattate durante il #virtuasoblogtour, tutte le emozioni che ho provato sono riaffiorate in superficie, a tratti più forti di prima. Questa valle marchigiana, che si estende per ben 70 chilometri (dal mare ai Monti Sibillini), è un territorio speciale, dove i 22 piccoli comuni che la costituiscono hanno creato una vera e propria comunità il cui obiettivo è di tutelare non solo i centri storici, ma anche un profondo amore e cultura del territorio, le sue tradizioni e i suoi prodotti enogastronomici.
Inizierò a ripercorrere questo viaggio partendo dai tre borghi della Valle dell’Aso che abbiamo visitato, ognuno diverso a suo modo ma con tre elementi in comune:
- cura del proprio territorio (credetemi quando vi dico che non ho visto una – e dico una – cartaccia a terra);
- senso e spirito di comunità (da non dare per scontato solo perché si tratta di piccole realtà);
- valorizzazione delle proprie origini.
Indice
Borghi della Valle dell’Aso: Monterubbiano
Bandiera arancione, Monterubbiano mi ha fatta tornare indietro nel tempo alla mia infanzia, quando anche dove vivevo (e vivo tuttora) era un piccolo paese senza confusione alcuna, dove tutti si conoscevano e si aiutavano. Passeggiare per i vicoli di Monterubbiano è stato un susseguirsi di “scene già viste e vissute” che non potevano non farmi sorridere, un concentrato di quotidianità di paese che, devo ammettere, spesso mi manca.
Cosa vedere a Monterubbiano
Ma, come direbbe Marzullo, la domanda nasce spontanea: “Belli i vicoli, vada per la quotidianità, ma perché dovremmo visitare Monterubbiano?”
Presto detto. Iniziamo con il Palazzo comunale del 1300, con le sue bifore riscoperte alla fine degli anni ‘30 grazie alla ristrutturazione e con la sua sala consiliare contenente dipinti del 1400 e del 1600 donati, pensate un po’, da preti. Quasi dimenticavo: per i nostalgici come me, proprio a fianco della sala consiliare si trova la Stanza dei Desideri, con un’esposizione di oltre 600 bambole provenienti da tutto il mondo. Indovinate un po’ quali hanno attirato la mia attenzione?
Basta camminare per un centinaio di metri per raggiungere la Chiesa di San Francesco, oggi polo culturale. All’interno dell’ex chiesa francescana spiccano affreschi quattrocenteschi, tra cui la copia di un polittico di Pietro Alemanno, raffigurante la Vergine con Bambino e i santi, “preso in prestito” da quel furbacchione di Napoleone e oggi custodito alla Pinacoteca di Brera.
Il polo culturale racchiude nelle sue mura anche il Museo Archeologico, dove è possibile ripercorrere – attraverso i vari reperti – le origini di Monterubbiano dai Piceni, i primi ad insediarsi in questi territori, fino ai Romani, ai quali si deve l’origine del nome del paese (Urbs Urbana). Scoprirete, attraverso i vari oggetti provenienti dalle tombe e se come me lo ignoravate, che se i Romani praticavano l’incinerazione, i Piceni preferivano l’inumazione.
Un museo piccolo, è vero, ma con un’attenzione particolare al turismo accessibile, in particolare al pubblico non vedente. Molti degli oggetti presenti, infatti, possono essere toccati e sono state predisposte schede Braille.
Dopo aver visitato anche la duecentesca Chiesa dei S.S. Giovanni Battista ed Evangelista, con una Ultima Cena del tutto particolare (gli apostoli raffigurati sono 13) e la sua colonna ennagonale con un santo diverso raffigurato su ogni lato, è una passeggiata nel ghetto ebraico quello che proprio non potete perdervi. Chiamato dai monterubbianesi “le spiagge” perché si tratta di una zona esposta ai raggi del sole per molte ore al giorno, nel XIII secolo era un susseguirsi di botteghe e case collegate tra loro da camminamenti interni, non percorribili perché di proprietà privata.
Moresco, uno dei borghi più belli d’Italia
Moresco ci accoglie in un mite sabato mattina di ottobre con il silenzio, un silenzio quasi surreale che a tratti fa quasi pensare che il borgo sia completamente disabitato. In effetti la realtà si discosta di poco dall’immaginazione perché Moresco, in realtà un castello, conta meno di 600 abitanti e solo una quarantina risiedono effettivamente all’interno delle mura. Forse è proprio questa caratteristica che mi fa subito innamorare di questo borgo, così piccolo e allo stesso tempo, in passato, dalla posizione così strategica: nelle giornate limpide, infatti, dal borgo si riesce a godere di una vista che va dal Monte Conero fino al Gran Sasso.
Scoprire poi che il borgo ha una forma triangolare lo ha reso ancor più interessante ai miei occhi. Il vertice spetta di diritto alla torre eptagonale del XII secolo, i cui primi tre livelli quadrati furono probabilmente costruiti su una torre romanica. La campana in cima alla torre risale al 1700, opera della Fonderia Pasqualini. Anche questa volta non mi sono fatta mancare un po’ di esercizio fisico ma la vista che si gode dall’alto vale anche il temporaneo calo di ossigenazione.
Moresco, uno dei borghi più belli d’Italia, ottenne l’indipendenza dalla vicina Monterubbiano nel 1910, alla quale era legata sin dall’Unità d’Italia. Pensate che il primo atto firmato dal neo comune, all’epoca, fu la richiesta di restituzione della pala d’altare di Vincenzo Pagani che i monterubbianesi sottrassero alla chiesa di Santa Maria dell’Olmo. Oggi l’opera è visitabile all’interno della sala consiliare del comune.
Passeggiare a Moresco significa godersi la vista di Piazza del Castello dove, da un momento all’altro, pensi possa spuntare da dietro un arco o una colonna un cavaliere o una dama del Medioevo. In quella piazza sorgeva addirittura l’antica chiesa di S. Maria di cui rimane, oggi, solo la navata sinistra con la Madonna col Bambino di Pagani.
Uscendo dal borgo dentro le mura si passa sotto la trecentesca Torre dell’Orologio che sovrasta la vecchia porta d’accesso al castello e, con una breve discesa, si arriva al teatro di Santa Sofia, ex chiesa dedicata a Santa Sofia Amati, oggi sconsacrata ed utilizzata – appunto – come teatro (“lu teatrì” come viene chiamata dai moreschini). Un teatro che vorrebbero avere in tanti considerato l’affresco quattrocentesco che vi è conservato!
Sempre al di fuori delle mura è possibile visitare il Santuario della Madonna della Salute e la Chiesa della Madonna dell’Olmo, quest’ultima una chiesa rurale di tipo romanico contenente un altro affresco di Pagani che non ho alcuna intenzione di perdermi la prossima volta che tornerò a Moresco (perché ci sarà una seconda volta!).
Borghi della Valle dell’Aso: Montedinove
Non potevamo concludere il blog tour in modo migliore con la visita al borgo di Montedinove, uno dei borghi più belli della provincia di Ascoli Piceno. Questo borgo mi ha colpito non solo per i panorami che mi sono goduta da diversi punti lungo le mura, ma anche per il suo nome. La mia curiosità non poteva rimanere inerme difronte a un tale dubbio. La parola contiene il numero nove: ci sarà un collegamento? L’ispettore Gadget che è in me parte all’azione e trova diverse spiegazioni possibili. Quella che più solletica la mia immaginazione vuole l’origine del nome legata a Monte delle nuove, intese come novelle, ossia le novità che in passato “si trasmettevano con segnali dalle alture”. Sarà che mi sono immaginata l’effetto piccione viaggiatore, fatto sta che, nonostante non sia la versione più assodata, è quella che mi ha colpita di più.
Il borgo è perfettamente conservato, le sue mura medievali proteggono come in un abbraccio l’intrecciarsi dei suoi vicoli punteggiati da piccoli vasi di fiori rossi. Non vi nascondo che avrei voluto che manager fosse stato lì con me a passeggiare lungo quelle piccole stradine, sembrava il perfetto set cinematografico per un bel film d’amore (mi sono fatta prendere dalla vena romantica, lo so).
Piazza Novana rappresenta il punto focale del centro storico, sulla quale si affaccia non solo il Palazzo Comunale, ma anche la chiesa di San Lorenzo, con la sua facciata che non passa di certo inosservata, e la chiesa di S. Maria dé Cellis, con il suo portale gotico che si affaccia sulla piazza e i cui simboli sono stati oggetto di discussione sulla presunta presenza dei Templari nell’area picena.
Montedinove, terra di congregazioni come quella dei “sutores”, i sarti, e di mele rosa. Avete capito bene, le mele rosa dei Sibillini. Oggi presidio SlowFood, questo squisito frutto viene coltivato in nove comuni fra cui rientra anche Montedinove e festeggiata con un evento ad hoc i primi giorni di novembre.
La Valle dell’Aso è una terra che ti sorprende, che va scoperta con lentezza e delicatezza, con lo stesso tatto usato dai suoi abitanti che con amore e passione preservano borghi e portano avanti tradizioni secolari. Una terra ricca di storia, una terra che sa farti viaggiare non solo nel tempo, ma anche con i suoi prodotti enogastronomici e le storie narrate dai suoi abitanti. La Valle dell’Aso riesce a farti vivere una favola d’altri tempi.
In collaborazione con l’Associazione DiversoInverso
(Foto di copertina Canva)