La leggenda della Bella Galiana, Viterbo

Ormai conoscete la mia passione per le leggende che riguardano gli infausti destini delle donzelle del passato. Con la Rosa di Turaida e la Torre della Vergine di Tallinn vi avevo già servito un antipasto ma oggi voglio continuare ad arricchire questa sezione del blog restando in terra italiana.

Ci troviamo a Viterbo, più precisamente in piazza del Plebiscito, uno dei luoghi principali della città. Qui si affacciano, infatti, Palazzo dei Priori e la sede del Comune. Sul lato opposto di questi palazzi, si trova la chiesa di Sant’Angelo in Spatha. Una chiesa che, rispetto alle altre della città, non spicca per particolari decori e fastosità ma che, sul lato destro della facciata, presenta un sarcofago etrusco-romano del II secolo d.C. in marmo bianco.

Si narra che questo sarcofago, il cui originale è conservato al Museo Civico della città, sia la tomba della Bella Galiana, protagonista della storia.

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Il sarcofago della Bella Galiana

Chi era la Bella Galiana

L’epitaffio presente sul sarcofago recita: “L’anno 1138 fu sepolta in questo marmoreo avello la fanciulla Galiana, incomparabile per bellezza e virtù, fiore e onore della patria, alla sua morte tutta la Tuscia parve rattristata e spento ogni gaudio cittadino”.

Con un’iscrizione del genere si capisce subito quanto Galiana fosse bella, attraente, mirabile, aggraziata, incantevole, splendida, affascinante, leggiadra. Ho sottolineato a sufficienza il fatto che fosse di bell’aspetto?

La sua bellezza era dunque insuperabile e si dice che la sua pelle fosse così chiara, delicata e trasparente da far intravedere il vino rosso scorrerle lungo la gola quando beveva. Insomma, se non altro ho avuto la certezza che con la mia pelle, nel XII secolo, anche io avrei fatto faville!

Viterbo, la cinghialessa e la Bella Galiana

Se osservate con attenzione il bassorilievo scolpito sul sarcofago, noterete che viene rappresentata la scena di una caccia al cinghiale, con un leone che lo assale e lo sbrana. Ora, cosa c’entra il cinghiale con la Bella Galiana?

La leggenda narra che Viterbo sia stata fondata da un gruppo di Troiani che, trovato rifugio nel Lazio dopo la distruzione della loro città, per volere degli dèi compissero sacrifici umani a un animale simbolo della loro patria perduta, una troia bianca (o cinghialessa), apparsa loro miracolosamente per indicargli il luogo dove fondare la nuova patria.

Il sacrificio doveva avvenire ogni anno, nel giorno di Pasqua, a mezzogiorno. Una vergine, scelta a sorte fra le più belle e virtuose della città, veniva condotta fuori le mura, nei pressi del fiume Paradosso (ironico, vero?) e incatenata nuda ad un masso. Ad una certa distanza, i coraggiosi uomini che mai avrebbero preso in considerazione di offrire un maschietto in sacrificio, attendevano l’arrivo della belva sacra pronta a gustarsi un banchetto di carne fresca e garantire che la città non venisse colpita da sciagure.

Un anno la sorte toccò la povera Galiana, con grande dispiacere di tanti che la ritenevano, per bellezza e virtù, un orgoglio cittadino. Si seguì “il protocollo” sacrificale, la belva si presentò ma quando fu sul punto di divorare la fanciulla, un leone uscì dal bosco e si avventò sulla cinghialessa bianca, uccidendola e scomparendo subito dopo. Tale atto liberò sia la ragazza che la città dal debito di sangue, spingendo i viterbesi a sostituire, nello stemma cittadino, l’unicorno con il leone.

Il destino della Bella Galiana

Lo so, a questo punto della storia vi siete sicuramente domandati quale sia l’infausto destino della ragazza. D’altronde, era scritto che avrebbe dovuto lasciare presto questo mondo in uno dei modi più crudeli possibile ma se l’era cavata, guadagnandone anche in fama. Eccola, la fama, l’infame protagonista della sorte di Galiana.

La sua storia, infatti, l’aveva resa celebre nei territori vicini, spingendo molti uomini a recarsi a Viterbo per poterla ammirare e renderle omaggio. Ragazzi, doveva proprio essere uno schianto per far muovere il c… a così tanti maschietti!

Tra questi, ci fu anche un nobile romano il quale, invaghitosi di Galiana, la chiese in moglie. Vuoi perché i suoi concittadini non la volevano perdere, vuoi perché – si dice – lei si fosse votata a Dio per essere sfuggita alla morte, fatto sta che il pretendente ricevette un bel due di picche. A nulla servirono i ricchi doni (altro che mazzi di fiori!), Galiana non era intenzionata a farsi comprare.

Peccato che, come ci insegna anche la storia moderna, certi uomini non siano propensi ad accettare un rifiuto. Indispettito e intenzionato ad averla per sé con la forza, il nobile (sebbene come appellativo non gli si addica) decise di mettere sotto assedio la città che, a sorpresa, resistette.

Ferito a morte (o nell’orgoglio?), il nobile romano chiese come ultima grazia di poter rivedere Galiana un’ultima volta. Il padre della fanciulla acconsentì (altro furbacchione) e, di fatto, segnò la morte della ragazza. Affacciatasi dalla torre di porta Faul per accontentarli, fu trafitta alla gola da una freccia scoccata a tradimento per ordine del pretendente rifiutato (a parer suo, ingiustamente), al grido di “o mia o di nessuno”. Un atto che causò l’ira dei viterbesi, i quali inferociti, diedero battaglia e riuscirono a porre fine all’assedio.

Diverse versioni

Come tutte le leggende, esistono anche delle altre versioni della storia che, tuttavia, portano sempre alla stessa conclusione, il femminicidio. In particolare, oltre a quella che vi ho raccontato, circolano tre varianti della storia della Bella Galiana:

  • nella prima, il nobile chiese di poter vedere Galiana un’ultima volta in cambio della rinuncia all’assedio, obbligando la fanciulla a mostrarsi per salvare la città;
  • nella seconda, il nobile mise sotto assedio la famiglia di Galiana nella torre fino a quando, rimasti senza più provviste, il padre decise di uccidere la figlia e gettarla giù dalla torre piuttosto che cederla viva agli assalitori;
  • nella terza, quella meno improbabile, il nobile si accontentò di averla vista un’ultima volta e abbandonò Viterbo come promesso.

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